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Sinodo dei vescovi europei

1.  La divisione nella Chiesa cattolica

Negli ultimi decenni i problemi connessi alla fede, alla morale, alle scelte politiche, economiche, sociali, sessuali e familiari sono stati oggetto di interpretazioni così divergenti da parte dei cattolici da determinare una divisione intra-ecclesiale che forse non ha precedenti nella storia e che esige una meditata analisi. Tale divisione è speculare a quella che dura, in alcuni casi anche da più di un millennio, con le altre confessioni cristiane e che è, ed è stata, una con-causa delle rivalità sanguinose tra le nazioni europee. In occasione del Sinodo dei vescovi europei ci sembra utile offrire alcune riflessioni sulla divisione nella Chiesa cattolica.

1.1      La nostra analisi della divisione 

Le ricerche socio-religiose sono concordi nel segnalare che i cattolici non seguono il Magistero in modo consensuale: soprattutto quelle transculturali e internazionali ( ad esempio quella di Greeley) mostrano come anche su temi ritenuti indiscutibili dal Magistero papale (ovverosia “quasi dogmi”), come l’ordinazione di donne o uomini sposati, i cattolici abbiano opinioni diametralmente opposte, con una maggioranza di credenti, in molti paesi, che pensano e agiscono in modo ritenuto “erroneo” dal Magistero. 

La materia nella quale prevale questa contrapposizione è quella familiare-sessuale:

  • non solo la maggioranza dei cattolici ritiene erroneo l’insegnamento del magistero papale in ordine alla regolazione delle nascite al punto da non farne più un problema di “colpa”, ma anche in tema di relazioni prematrimoniali, coppie di fatto, fecondazione assistita, depenalizzazione dell’aborto e del divorzio, ecc.
In campo politico e sociale la spaccatura non potrebbe essere più evidente: 
  • cattolici a favore di atteggiamenti pacifisti-non violenti a fronte di altri favorevoli alla guerra (p.e. ai bombardamenti NATO nella guerra dei Balcani);
  • cattolici che vedono con favore l’integrazione etnico-razziale e cattolici che si oppongono a tale scelta; 
  • cattolici che appoggiano le teorie neoliberiste (centralità del mercato e del profitto) e cattolici che militano a favore di movimenti che considerano il capitalismo e il neoliberismo il “Mammona” da combattere; 
  • cattolici che reputano la scuola “privata-cattolica” un fermento di libertà e cattolici che la ritengono una scuola per i ricchi e una palestra antidemocratica; 
  • cattolici che si battono per “lo stato etico” (o confessionale) e cattolici che si battono per uno “stato di diritto” (laico); 
  • cattolici sostenitori della difesa dell’ordine sociale attraverso la repressione (leggi punitive, carcere, pena di morte, autodifesa con armi, ecc.), contro cattolici che privilegiano misure educative e riabilitative (comunità terapeutiche, scuole di formazione, comitati di autodifesa, campagne di pubblicità, ecc).
In ordine alle tematiche ecumeniche la contrapposizione è, seppure sfumata, consistente: 
  • a fronte di cattolici che promuovono marce, veglie, preghiere, convegni con altre confessioni cristiane alla ricerca di una effettiva riconciliazione e di soluzioni comuni ai gravi problemi posti dall’ingiustizia e dalla guerra,vi sono cattolici che in nome dell’unica e vera Chiesa, quella cattolica”, evitano ogni rapporto o confronto con i fratelli “separati”, considerandolo un “cedimento”.
Anche nel dialogo con le religioni non cristiane, che coinvolgono i tre quarti dell’umanità, il disaccordo è quasi totale: 
  • da un lato vi sono cattolici (compresi vescovi e teologi) che considerano fondamentale una nuova evangelizzazione che parta da una effettiva inculturazione e, quindi, dall’abbandono di quelle categorie occidentali che da due millenni condizionano il messaggio evangelico; dall’altro vi sono cattolici che ritengono irrinunciabile difendere e diffondere il cristianesimo con tutta la sua tradizione occidentale.
Non meno forte è il contrasto in campo teologico
  • i fautori della Teologia della Liberazione, delle Teologie Indigene, della Teologia Asiatica, delle Teologie delle realtà terrene (pace, politica, ecologia, ecc.) negli ultimi decenni hanno teorizzato interpretazioni di Dio, del peccato originale, del castigo eterno, della missione di Gesù, della struttura della Chiesa, dei sacramenti, del culto alla Madonna e ai santi, del Giubileo, che hanno scavato abissi di differenze rispetto alla “tradizione” e con i tradizionalisti, fino a configurare un modo di pensare e fare Chiesa che è antinomico a quello “conservatore”. 
Anche il modo di operare delle Conferenze episcopali presenta caratteristiche contrastanti:
  • mentre alcuni episcopati nazionali procedono secondo un metodo “sinodale”, ponendo domande e convocando il popolo cattolico secondo livelli differenziati, senza eludere “questioni” ritenute intoccabili dal magistero papale, altri procedono in modo opposto, negando ogni forma di consultazione del “popolo di Dio”.
Particolarmente acuta è la divisione che si registra tra il Papa e gran parte della Chiesa: essa emerge sotto forma di dichiarazioni, prese di posizione o comportamenti apertamente e consapevolmente contrastanti, ma più spesso camuffate da indifferenza, noncuranza, e distacco. 
  • Il caso del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, redatto dalla Curia Romana, è emblematico: comprato in milioni di copie è praticamente “ignorato” dalla quasi totalità di vescovi, parroci, teologi e dirigenti di movimenti laicali. 
  • Per non parlare del fatto che se il Papa afferma che l’uso degli anticoncezionali è contro natura e causa di peccato mortale, l’apparato ecclesiastico nel suo insieme “finge” di non sapere e omette deliberatamente tale insegnamento. 
  • Se poi il Papa dichiara solennemente chiuso il capitolo dei ministeri alle donne e ai preti sposati, i vescovi e i parroci, spesso sprovvisti di clero “celibe”, assegnano ai primi compiti pastorali quasi “sacerdotali, a tal punto che la S. Sede si vede obbligata a emettere una “Istruzione”, per richiamare i vescovi a vigilare su “abusi” che contravvengono le decisioni del Magistero.
  • Le “encicliche” papali, se non fossero sintetizzate dalla stampa internazionale, rimarrebbero  ignote alla quasi totalità dei cattolici. Vescovi, parroci, movimenti laicali e stampa cattolica, salvo eccezioni, evitano di studiarle, commentarle e, persino, di diffonderle, isolando così il papa dalla comunità cattolica. 
Anche lo spinoso problema del “celibato” dei preti è elegantemente bypassato: molti di essi, di fronte alle gravi conseguenze che comporterebbe la riduzione allo stato laicale (senza lavoro, senza casa, senza pensione, ecc.), risolvono il problema sessuale ricorrendo alle più svariate soluzioni (masturbazione, amante, convivente, pedofilia, omosessualità, ecc.), quasi sempre con la “complicità” del vescovo, in bilico tra la possibilità di perdere un “funzionario di Dio” o di promuovere uno scandalo.

I movimenti e le associazioni laicali non si sottraggono alla scissione che aleggia nella Chiesa Cattolica. Tutti conoscono l’esistenza di movimenti tradizionalisti, anti-comunisti, difensori della “vita” fetale, ,  fautori della Chiesa “trionfante”, paladini della scuola “cattolica”,  dotati, spesso, di imponenti risorse finanziarie e di seminari per i propri aderenti.

Questi movimenti sono pubblicamente privilegiati dalla Curia Vaticana, che organizza, per vescovi “simpatizzanti”, convegni ai quali hanno accesso unicamente i leader dei suddetti movimenti nel ruolo di informatori-formatori. (Roma, giugno 99)

Ben diversa è la condizione di altri gruppi o movimenti laicali, difficilmente riconoscibili perché non possiedono seminari, case editrici, imprese o capitali. Pur riconoscendo l’autorità, non lesinano critiche; privilegiano la visione di una Chiesa-comunità che si perfeziona nella storia; si sentono più coinvolti nella difesa dei diritti umani, della giustizia, della pace; leggono la Bibbia alla luce di una moderna esegesi e degli avvenimenti presenti.

1.2     La divisione ecclesiale secondo l’INSTRUMENTUM LABORIS

Tale divisione ecclesiale ci pare sostanzialmente confermata dall’Instrumentum Laboris, che la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi ha pubblicato nel Luglio ‘99, a conclusione di un lungo lavoro di consultazione all’interno degli episcopati europei.
Il testo vaticano riconosce che “è in atto il passaggio da una religiosità sacrale e di tradizione a una religione di convinzione e di coinvolgimento personale” (43) , per cui “ciò che è necessario è un profondo cambiamento di mentalità...che richiede tempo, pazienza e formazione da parte di tutti gli interessati (49), anche perché “é venuta meno la possibilità di una pastorale basata su <uno stato diffuso di cristianità> (15). Esisterebbero, in sostanza, almeno due modi molto diversi di concepire e organizzare la Chiesa.

  • Infatti se da un lato“la Chiesa.. manifesta una nuova vitalità, specialmente nel rinnovamento biblico e liturgico, nell’attiva partecipazione dei fedeli alla vita parrocchiale, nelle nuove esperienze di vita comunitaria.. nel moltiplicarsi di generose forme di servizio ai più poveri e agli emarginati” (7), dall’altro “vi è il pericolo di continuare a impostare una pastorale che, pur non potendo più avere le caratteristiche di una pastorale tipica di una cristianità dominante, non è capace psicologicamente di accettare una diminuzione della stima e del riconoscimento sociale e cerca di salvare le strutture e l’influenza della Chiesa ad ogni costo, fino anche a forme di compromesso.. a scapito di scelte più nette e radicali” (15). 
  • Anche nel campo della collaborazione tra presbiteri e laici l’Instrumentum laboris segnala che “ci si trova di fronte a situazioni diversificate e, a volte di segno contrario..”: infatti, da un lato “grazie anche all’esistenza dei vari consigli e organismi di partecipazione... si assiste a un positivo sviluppo della collaborazione , e spesso della corresponsabilità, sul piano di una riconosciuta parità..”, dall’altro “Continuano... a sussistere situazioni nelle quali i preti mantengono una mentalità piuttosto dominatrice e autoritaria, che non consente adeguatamente né il rispetto della maturità dei fedeli laici...né di valorizzare il prezioso contributo che essi possono offrire..”, senza contare che vi sono “Chiese nelle quali la collaborazione sacerdoti-laici non viene avvertita come una priorità da perseguire” (49).
  • Di fronte al sempre più diffuso pluralismo di fede e di cultura, da un lato vi sono “comunità ecclesiali, centri di vita consacrata, gruppi e movimenti che sembrano porsi positivamente di fronte a tale pluralismo”, dall’altro “c’é chi, formato in una sorta di monocultura cristiana occidentale, guarda ad esso con sospetto, si ritrova impreparato a leggerlo e a interpretarlo...”(20). In un altro capitolo si elencano i frutti di tale monocultura cristiana: “la tentazione del potere temporale e di appoggiarsi sulla forza delle finanze e di una organizzazione ben funzionante... una forma, seppur latente di clericalismo... il fascino subdolo di servirsi di maniere forti nelle proposte.. il rischio di cedere a forme raffinate di paternalismo..” (39).
  • Persino in campo liturgico la situazione si presenta problematica, perché, da un lato “si creano e si improvvisano celebrazioni liturgiche e incontri di preghiera che disattendono la normativa vigente e danno origine a una sorta di inaccettabile creatività liturgica selvaggia”; dall’altro vi sono “esperienze nelle quali la preoccupazione di essere attraenti mette in ombra la dimensione del mistero... esperienze di celebrazioni liturgiche e di pratiche devozionali molto preoccupate del rubricismo: il che contribuisce a renderle di fatto aride e scoraggianti per tante persone..”: senza dimenticare quei “gruppi tradizionalisti che, accentuando alcune forme liturgiche esteriori, le fanno assurgere a criterio di ortodossia”. La conclusione è la seguente: “Non c’è dubbio che questi modi diversi, e a volte contrapposti, di intendere e di vivere le celebrazioni liturgiche conducano spesso al crearsi di polarizzazioni nelle quali si coagulano anche altri aspetti che concorrono a delineare un quadro nel quale sono in realtà due diversi modi di concepire e di vivere la Chiesa a confrontarsi e, purtroppo, a contrapporsi” (69).
Anche la consultazione pre-sinodale delle Conferenze episcopali europee, di cui l’Instrumentum è portavoce, giunge, quindi a riconoscere che sono “due diversi modi di concepire e di vivere la Chiesa a confrontarsi e, purtroppo, a contrapporsi”.

2.  Due cosmovisioni

Se a prima vista la situazione della Chiesa cattolica assomiglia ad una miscela di uniformità militarizzata (tutti mostrano una formale obbedienza al capo) e di sostanziale anarchia (ognuno compra e vende al “supermarket cattolico” quanto gli aggrada), ad una osservazione più meticolosa  si osserva che la “crisi” odierna della cattolicità è determinata da  un fatto inoppugnabile: in essa convivono due “cosmovisioni” che sono profondamente diverse, senza che vi sia una “agenzia” autorevole che sappia “conciliare” le differenze e promuovere una “conversione” dell’insieme. 

2.1  La cosmovisione patriarcale

L’ideologia che sostiene coerentemente un settore della cattolicità è sostanzialmente: patriarcale (il  Padre comanda sull’intera famiglia, che gli deve obbedienza assoluta);  maschilista (il maschio è superiore alla donna); monarchico-teocratica (tende a dotarsi di un proprio stato, di una propria banca, di una propria lingua, di propri edifici, di propri dirigenti); clericale ( tutte le funzioni direttive sono svolte da personale “sacro” e, quindi, celibe); dogmatica (tutta la dottrina è di origina divina e immutabile). 
Tale cosmovisione si attualizza attraverso il potere, la proprietà privata, la ricchezza, la legge, la disciplina, il timore e, quando necessario, attraverso la costrizione e la violenza. Ogni attentato al potere è considerato un “sacrilegio” ed è passibile di esclusione dalla comunità (scomunica).
All’interno di tale cosmovisione i “fedeli” considerano loro dovere primario aderire al corpo dottrinale-rituale, rappresentato dalla gerarchia, e reso “infallibile” nella persona del “Santo Padre” che 

  • è “l’amministratore unico” di tutti i beni materiali della Chiesa; 
  • è giudice supremo, al punto che le cui decisioni sono inappellabili;
  • è legislatore assoluto, l’unico titolato ad emanare leggi e norme della Chiesa; 
  • nomina tutti i responsabili della Chiesa (vescovi, cardinali, nunzi, ecc.) e rimuove a suo insindacabile giudizio quanti non sono in “comunione” con lui;
  • convoca, legittima o delegittima sinodi e concili;
  • svolge attività politica con organizzazioni internazionali e capi di Stato con cui stabilisce relazioni “diplomatiche”, che spesso si traducono in “Concordati”;
  • non risponde a nessuno del suo operato.
Il criterio per riconoscere il vero credente è dato dal grado della sua “ortodossia”, cioè della sua sottomissione alla cosmovisione dell’autorità infallibile: di qui lo sforzo della   Chiesa nel distinguere l’ortodossia dall’eresia, il consenso dal dissenso. La salvezza sta nella rigorosa applicazione delle norme e del rito previsti e gestiti dalla Gerarchia ecclesiastica. 

2.2  La cosmovisione  fraterna

L’altra concezione che anima la Chiesa è diametralmente opposta, in quanto fraterna (tutti sono figli dello stesso Dio e, dunque, fratelli); egualitaria (parità sessuale, etnica, religiosa, ecc); democratica (“ciò che riguarda tutti, deve essere deciso da tutti”); laica (indipendente da poteri religiosi-sacrali) e carismatica (tutti sono titolari di doni dello Spirito che contribuiscono a generare verità, dottrine e norme autorevoli, ma prive di infallibilità). Secondo tale cosmovisione 

  • la Chiesa si attualizza in una “comunità” di persone, in cui si condividono i beni spirituali e materiali, attraverso il servizio, il dialogo, l’amore fraterno, la fiducia reciproca e in Dio. 
  • Lo Spirito è il suo vincolo e la sua forza. Il fine primario è “cercare il Regno di Dio e la sua giustizia”. 
  • Sono banditi i “capi”, i “maestri” e i “padroni”: chi ha i doni per essere il primo, deve farsi ultimo. 
  • La Chiesa non possiede beni (né stati, né banche, né scuole, ecc.), né ricchezze, perché essa é povera a somiglianza del suo fondatore.
  • Il giudizio è tassativamente escluso e le sentenze di esclusione non possono essere emesse che dalla comunità; le norme di quest’ultima sono frutto di un consenso.
  • L’infallibilità è di tutta la Chiesa, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale” (L. G. n12). 
  • I credenti sono rispettosi dei poteri civili, pur conservando una autonomia critica.
L’ortodossia si identifica con l’ortoprassi: le dispute teologiche su Dio-Cristo-Chiesa sono secondarie rispetto all’attenzione per i poveri e i fratelli in difficoltà. La salvezza eterna non si raggiunge adorando astrattamente Dio, ma aiutando concretamente chi “ha fame, chi ha sete, chi è carcerato, chi è malato”.

3.  Due metodi di formazione

Ognuna della due cosmovisioni si alimenta di un processo formativo che è essenziale per la propria conservazione. Di qui la coesistenza di due ottiche formative profondamente diverse.

3.1.  La formazione secondo la cosmovisione patriarcale

L’attività pedagogica della Chiesa che si ispira ad una mentalità patriarcale-dogmatico-clericale-monarchica tende, necessariamente e coerentemente, a sviluppare nei propri fedeli, siano essi bambini o adulti, un tipo di apprendimento che 

  • che è rivolto alla nozione teorica (le verità scritte e sintetizzate nel Catechismo);
  • è prevalentemente passivo (lezioni senza esercitazioni);
  • non è ispirato alla logica sperimentale e non conferisce spirito critico;
  • non sfrutta l’errore come fonte di conoscenza; 
  • non sviluppa capacità operative e decisionali; 
  • non ha un contenuto emotivo;
  • non favorisce l’introspezione e l’autosservazione; 
  • non conta sul gruppo come fonte di apprendimento.
Il sapere che i cattolici acquisiscono è di tipo astratto, classificatorio e tramandato, con prevalenza assoluta di testi scritti autorizzati dalla Gerarchia. Ma è soprattutto individualistico: importante è “salvare la propria anima”.

3.2.  La formazione secondo la cosmovisione fraterna 

I fedeli che vengono formati secondo la cosmovisione fraterna (comunità di base, gruppi ecumenici,  gruppi biblici, catechesi sperimentali, famiglie, parrocchie progressiste, ecc.) tendono ad un apprendimento delle verità di fede che

  • stimola l’interesse per i problemi reali;
  • è prevalentemente attivo e vissuto sul campo;
  • conferisce esperienza, spirito critico, competenza e mentalità olistica (l’insieme); 
  • presuppone il diritto all’errore e ne sfrutta le potenzialità cognitive;
  • il confronto tra teoria e realtà avviene per verifiche successive;
  • favorisce l’introspezione, l’autovalutazione e la partecipazione emotiva;
  • sviluppa la propensione verso le sinergie con gli altri, con cui si impegna emotivamente.
Il tipo di sapere che conforma i credenti che vivono l’esperienza comunitaria è eminentemente pratico, contestualizzato e fondato sulla prevalenza della comunicazione orale. La cosa importante è “cercare il Regno di Dio e la sua giustizia”. (Ci si salva insieme).

4.  Due organizzazioni

I modi di interpretare Dio, la Chiesa e la realtà propri delle due cosmovisioni sono germinativi di strutture organizzative completamente diverse nella loro impostazione. 

4.1.  La Chiesa clerico-centrica

Dalla  cosmovisione patriarcale-monarchica-maschilista-sacrale procede una organizzazione che è centrata su di un apparato centralizzato e burocratico, rigidamente gerarchizzato (con carriere che vanno aumentando di potere quanto più si avanza verso l’alto), e che è dotato di un’aura sacrale, come si conviene ad una monarchia di origine divina. I membri di tale apparato

  • sono esenti dal servizio militare e dal lavoro materiale in quanto collegati con il ”sacro”;
  • hanno un lungo curriculum di studi teologici;
  • non possono sposarsi (il sacro è incompatibile con il sesso);
  • amministrano tutti i sacramenti, indirizzano e controllano la dottrine e la formazione dei fedeli; 
  • sono nominati dal “superiore”, al quale sono sottomessi e dal quale dipendono per il vitto, l’alloggio, il lavoro;
  • gestiscono il patrimonio immobilare e finanziario della Chiesa; 
  • hanno potere di veto nelle assemblee di laici.
Il popolo dei fedeli (laici) non può godere dei privilegi dell’apparato clericale, né svolgere alcuna funzione ad esso riservato. Giuridicamente e sociologicamente parlando, i laici non appartengono all’organizzazione, in quanto sono “consumatori”, aventi la sola possibilità di accettare o rifiutare quanto viene loro offerto dal “produttore” (Gerarchia-clero).

4.2  La Chiesa demo-centrica

Il modello “fraterno” che ispira, fin dai primi secoli dell’era cristiana, l’organizzazione ecclesiale è quello che vede l’assemblea (ecclesia) dei cristiani totalmente corresponsabile delle scelte spirituali e materiali, in quanto “partecipi della natura di Dio” e “dello Spirito di Cristo”. Secondo tale modello, che è stato alla base dei movimenti pauperistici e di rinnovamento ecclesiale, e attualmente delle moderne “comunità o gruppi di base” (in parte condiviso dagli ordini religiosi):

  • nessun membro gode di privilegi (di status, lavoro, ecc.);
  • tutti partecipano alla elaborazione delle linee dottrinali (teologia, liturgia, ecc.) e organizzative;
  • non esiste alcuna discriminazione sessuale tra uomo-donna e tra celibi-sposati;
  • gli incarichi sono aperti a tutti e comportano un atteggiamento di servizio. Non vi sono persone sacre;
  • i rapporti sono fondati sulla comunione, sulla reciprocità e sull’uguaglianza;
  • nessuno ha il potere di mettere veti.
In tale organizzazione il potere si diffonde verso la “base”, che ha il diritto di nominare i propri  “presidenti”, alla quale essi ritornano come normali membri quando sono sostituiti.

5.  Due paradigmi

Le due cosmovisioni che si fronteggiano attualmente nella Chiesa cattolica, e che danno origine a modelli contrapposti di formazione e di organizzazione, sono, a loro volta, connesse a due tipi completamente diversi di premesse metafisiche ed epistemologiche (o “paradigmi”), riducibili, secondo Norgaard, a cinque.

5.1.  Il paradigma determinisitico 

Le premesse del paradigma monarchico-patriarcale-maschilista-burocratico sono state  in larga misura responsabili dello sviluppo tecnico-scientifico-sociale dell’Occidente e ne sostengono in gran parte tutto l’impianto filosofico-religioso-politico. Le cinque premesse sono:

  • 1. l’atomismo: il sistema (sia esso sociale, religioso o naturale) consiste di parti immutabili ed è la semplice somma delle parti costituenti.
  • 2. il meccanicismo: le relazioni tra le parti sono prefissate e immutabili; il cambiamento avviene in modo uniforme, reversibile e prevedibile.
  • 3. l’universalismo: le parti del sistema e le relazioni tra di esse hanno una natura che è la stessa in ogni luogo e tempo.
  • 4. oggettivismo: il sistema può essere compreso  controllato in modo oggettivo senza esserne parte. E’ possibile capire la realtà a prescindere dai valori personali.
  • 5. il monismo: i modi diversi di conoscere un sistema si possono ridurre ad uno. C’è un modo ottimale e superiore per conoscere l’oggetto. Non vi sono molteplicità di risposte corrette.
  • Questo “paradigma” è sostanzialmente fatalistico-deterministico, pur favorendo la certezza che sia possibile prevedere e gestire lo sviluppo di eventi futuri conoscendo e controllando lo stato iniziale.
    Tale prevedibilità abbraccia anche eventi di carattere disastroso che vengono vissuti come irrimediabili e, quindi, non implicano alcuna responsabilità.

    Di questo paradigma si alimenta la Chiesa patriarcale-clericale-dogmatica. Infatti essa ritiene che una volta che le singole parti del sistema ecclesiale siano state rese immutabili e irreformabili (dogmi, liturgie, dottrine etico-sociali), integrate meccanicamente nella pastorale attraverso la burocrazia (clero), e trapiantate in tutto l’universo, essa potrà guardare indisturbata al futuro, pura estrapolazione del presente. 

    5.2  Il paradigma sistemico

    Il fatto nuovo è che il “paradigma  patriarcale-occidentale”, a seguito di una simultanea co-evoluzione della scienza, della tecnologia e della società, si è andato progressivamente indebolendo fino a mostrare la propria inapplicabilità universale. Si è osservato che regole e leggi perfettamente deterministiche possono produrre un moto caotico e imprevedibile, indicato paradossalmente come “caos deterministico”. Di qui l’emergere, negli ultimi decenni, di un nuovo “paradigma sistemico”, caratterizzato da cinque premesse metafisiche ed epistemologiche, completamente diverse da quelle del “paradigma deterministico”. Esse sono:

    • 1. Olismo (versus atomismo): le parti non sono comprensibili separate dalla totalità di cui fanno parte e la totalità è differente dalla pura somma delle parti.
    • 2. Evoluzionismo (versus meccanicismo): i sistemi possono essere meccanici, ma anche caotici, non prevedibili e con alto grado di discontinuità;
    • 3. Contestualismo (versus universalismo): i fenomeni dipendono da un grande numero di fattori contingenti spazio-temporali. Fenomeni analoghi possono verificarsi in tempi e luoghi diversi pur essendo generati da fattori differenti.
    • 4. Soggettivismo (versus oggettivismo): i sistemi non possono essere compresi separatamente da noi. L’osservazione modifica quanto viene osservato.
    • 5. Pluralismo (versus monismo): i sistemi complessi possono essere conosciuti solo attraverso modelli di pensiero alternativi. Modelli diversi non sono comparabili ne riducibili ad uno.
    La crisi del “paradigma deterministico” si è presentata quando, a seguito delle straordinarie accelerazioni scientifico-tecnologiche, l’uomo si è messo ad osservare la realtà non visibile (dell’atomo, dei geni, dell’inconscio, dell’atmosfera, ecc.), e ad intervenire su di essa, scoprendo e promuovendo l’infinita complessità evolutiva del sistema cosmico. 

    Sul piano sociale, basti pensare a quali sconvolgimenti è andata incontro la società quando la donna, anche a seguito dei suddetti processi transpersonali, si è posta il problema del proprio posto nella creazione e nella storia: con un pesante riflesso all’interno della Chiesa, che si è vista obbligata, per la prima volta nella sua storia, ad ammettere pubblicamente che Dio non è solo “Padre” ma anche “Madre”, e a porsi l’inquietante  problema dell’accesso delle donne ai “ministeri ordinati”, tradizionalmente aperti ai soli maschi.

    Tutto ciò significa passare da un paradigma “deterministico”, vigente da millenni, ad uno “sistemico-probabilistico”, in base al quale le definizioni dogmatiche, le disposizioni liturgiche e canoniche, l’organizzazione ecclesiale e le norme etiche possono esser configurate in modo approssimativo, prudente, contestualizzato, intelligente (intus legere=leggere dentro): non possono essere rigidamente sezionate, programmate, definite, applicate universalmente e controllate centralmente, pena la loro implosione e inapplicabilità, esattamente come se uno Stato volesse oggi rigidamente programmare e definire, una volta per tutte, l’intera vita dei cittadini, cosa possibile in una società non-complessa. 

    6.  Il superamento della divisione

    La mutazione in atto del paradigma metafisico-epistemologico esige certamente una “metanoia”, che significa una generosa disposizione non a cambiare idee, ma il modo di osservare e pensare la “realtà” nel suo insieme.

    6.1  Il pensiero sistemico

    Pensare ed agire in termini “olistici”, equivale a pensare in modo sistemico, cioè integrato, complesso, d’insieme per cui

    • 1. la vita è un fenomeno di auto-eco-organizzazione straordinariamente complesso. L’essere umano non è “il” centro della creazione, ma “un” punto di arrivo della trama della vita;
    • 2. l’organizzazione vitale non può essere compresa secondo la logica della macchina, dove basta che uno dei componenti si alteri perché si blocchi. Essi combinano un grande numero di unità e di interazioni che sono incalcolabili e indeterminabili;
    • 3. i sistemi viventi sono totalità integrate, in cui non esistono delle parti isolate ma gli elementi sono “reti di relazione” inserite in reti più grandi, con la funzione  di aiutare a produrre e trasformare altri componenti, mantenendo una circolarità globale della rete;
    • 4. il mondo vivente si compone di livelli di complessità variabile, per cui i fenomeni mostrano proprietà che non esistono a livelli inferiori;
    • 5. la struttura coesiste con il cambiamento; il non-equilibrio è fonte di ordine, di bellezza e di varietà.
    6.2  Il pensiero complesso

    Ne consegue che il pensiero sistemico è implicitamente complesso perché accetta di non poter dominare l’imprecisione, l’ambiguità, e la contraddizione; tanto meno può rimuovere la tragedia, come quando lo scienziato si trova davanti a scoperte sconcertanti che contrastano con il quadro teorico tradizionale.

    Il pensiero complesso è sostanzialmente dialogico, secondo E. Morin, per cui l’ordine e il disordine non sono nemici ma collaborano, mantenendo la dualità in seno all’unità. Ma anche la causa e l’effetto si scambiano i ruoli, come la parte e il tutto, per cui non si può concepire il tutto senza concepire le parti (Pascal). 

    In sostanza il pensiero complesso congiunge l’Uno e il Molteplice, senza che l’Uno si dissolva nel Molteplice e viceversa. 

    Ritiene impossibile una conoscenza completa, perfetta, infallibile, universalizzabile e superiore, come aveva realisticamente avvertito due mila anni fa Paolo: “Ora la nostra visione è confusa come in uno specchio antico” (Cor 1,13).

    Non rifiuta l’ordine, il determinismo o la logica, ma riconosce che la realtà contempla anche il loro contrario. 

    Il pensiero sistemico-complesso induce a valorizzare anche il più minuscolo essere vivente, dato che esso è molto più ricco di organizzazione di una centrale atomica, in quanto è in grado di auto-ripararsi, auto-organizzarsi e di auto-riprodursi; inoltre esso contiene dentro di sé l’organizzazione cosmica persino della rotazione della terra, indicata dall’alternanza giorno-notte.

    Tale visione sistemica ci appare prefigurata in molte parti del messaggio biblico e meglio sistematizzata in Paolo, allorquando pensa, ad esempio, la Chiesa come il “corpo del Signore”, un corpo le cui cellule, organi e apparati sono in una relazione l’uno con l’altro, e con l’intero cosmo.

    Per Paolo i discepoli del Signore sono individui che esprimono carismi di “guarigione”, di“ direzione”, di “profezia” per costruire la comunità-corpo del Signore, vera rete di relazioni e di flussi “circolari”, non controllabili, né codificabili. La comunità, a sua volta, riproduce al suo interno il mondo del Dio Trinitario e l’intera Chiesa.

    Per Paolo tutte le relazioni sono fondate sulla reciprocità. Egli pensa la comunità come una casa della solidarietà “degli uni verso gli altri”, dove “gareggiare nello stimarsi a vicenda”, “accogliersi a vicenda”, “correggersi”, aver cura gli uni degli altri”, “portare i pesi gli uni degli altri”, “confortarsi”, “sopportarsi”, “perdonarsi a vicenda”, “confessarsi i peccati”, “praticare l’ospitalità”, essere al servizio”.

    In virtù di tale “rete relazionale”, dotata di un certo ordine, ma non esente da squilibri e turbolenze, ogni comunità mobilita un “pensiero e un agire collettivo”, (“degli uni verso gli altri”), che le consente di autorganizzarsi, differenziarsi dalle altre e co-generare,  altre più complesse “reti relazionali”, senza bisogno di “centrali” direttive. 

    All’interno di tale rete “relazionale” ogni singolo elemento acquisisce un ruolo di “attivatore”, di “referente valoriale interpretativo” e di “co-gestore”, contribuendo a mantenere una solidarietà organizzativa circolare, analoga a quella che si attribuisce ad un modello “trinitario”.

    E’ su questa base che acquisisce senso il concetto della “sussidiarietà”, per cui la parte dominante cede potere affinché gli altri possano assumere una funzione di animazione del corpo sociale.

    Accogliere il pensiero e l’agire “sistemico” significa, quindi, ritrovare la fonte non solo del pensare ed agire biblico, ma anche quella straordinaria intuizione di un Dio relazionale, del Dio Uni-Trino (primo dogma della fede cristiana): rigettarlo, invece, espone la Chiesa a collocarsi fuori persino del paradigma democratico-probabilistico-pluralistico-ecologico che rappresenta il “segno dei tempi”, cui tutto il mondo (religioni, partiti, istituzioni, imprese, ecc.) è chiamato a “convertirsi”, pena non la “distruzione di Gerusalemme”, ma della stessa terra.

    7.  Aprire spazi “pentecostali”

    Di fronte al problema della divisione “nella” Chiesa cattolica, che certamente ha i caratteri della complessità,  non c’è che un operare  complesso, quindi “sistemico”, che metta concretamente in “comunione” tutti con il tutto e il tutto con ogni elemento. 

    I cristiani possono ritrovare il loro modello  ispirativo nell’evento “pentecostale”, nel quale pochi e timorosi discepoli del Signore, “mentre erano riuniti nello stesso luogo... furono riempiti di Spirito Santo e si misero a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo concedeva loro di esprimersi.” Nonostante le considerevoli differenze di razza, sesso e religione essi potevano parlare la “lingua” degli “stranieri”, dei “diversi”, dei “pagani”, al punto da riempirli “di meraviglia e di stupore”. Cosa era successo? Che si realizzava, come spiega Pietro agli attoniti spettatori, la promessa di Dio, annunziata dal profeta Giole e cioè: “manderò il mio Spirito su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti, i vostri giovani avranno visioni, i vostri anziani avranno sogni”. L’evento pentecostale travalica gli argini eretti dall’assetto patriarcale-maschilista-dogmatico-sacerdotale. Lo Spirito “concede a tutti di esprimersi”: non conosce poteri infallibili e assoluti, burocrazie sacerdotali, riti divini: né tantomeno si fa recintare da confessioni religiose. Lo Spirito crea consenso, solidarietà, creatività; fa sognare e profetizzare; fa “cose straordinarie”, compie prodigi: in una parola sottrae la storia al determinismo e la orienta in senso evolutivo-probabilistico.

    7.1  Dinamica pentecostale

    La dinamica pentecostale è analoga a quella dei sistemi aperti, dialogici, auto-organizzantisi, dove:

    • “non ci sono “né capi, né maestri, né signori”, ma solo comunicanti che adattano la loro concettualizzazione a quella degli altri in una succesione di esperienze interattive (Von Glaserssfeld)
    • si entra in una soglia de-ideologgizata, in cui il confronto con l’altro prescinde dalla differenza (di sesso, razza, religione, ecc.) e dove si impara a parlare la lingua degli “estranei e dei “poveri”;
    • tutti sono chiamati ad una con-versione, la sola che può liberamente indurre una mutazione empatica dei comunicanti.
    Ci piace chiudere questo contributo, certamente parziale e insufficiente, rileggendo quel passo dell’Instrumentum Laboris in cui si afferma che la Chiesa “è chiamata a muoversi credendo e testimoniando che lo Spirito è capace di superare le divisioni e le frammentazioni”, favorendo “quella rete di relazioni di amore che lo Spirito stesso sta formando anche oggi in Europa e che sono riflesso di quella rete di relazioni di amore che è la Trinità Santa” (40). 

    INVITO

    “Per noi è giunto il momento non solo di riconfermare, seguendo le orme del papa,  che la Chiesa non è la comunità dei discepoli di Gesù, ma di fare in modo che gli uomini e le donne di oggi facciano una vera esperienza di Chiesa”.

    Vescovo Peter James Cullinane
    Presidente Conferenza Episcopale Nuova Zelanda
    nel Sinodo dell’Asia del 1998


    Per comunicare in modo più partecipato ed efficace nel Forum Europeo di Cristiane e Cristiani a Roma (7-9 ottobre 99), è opportuno che tutti collaborino al lavoro preparatorio.
    Preghiamo, pertanto, lettrici e lettori di fare dei commenti al testo sopraesposto e di inviarli per e-mail, non oltre il 15 settembre, a: luigi.depaoli@eurodatabank.com
    Le chiediamo di sintetizzare brevemente i suoi punti di vista, avvertendo che forse non sarà possibile incorporare tutti i contributi che ci aspettiamo e di cui La ringraziamo anticipatamente.
    Contiamo sulla Sua collaborazione per affrancare il Sinodo dalla clausura episcopale, in modo che esso diventi argomento di tutto il POPOLO DI DIO.

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    Posted 13 August 1999
    Last revised 2 September 1999
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