Werner Böckenförde

Sulla situazione della Chiesa, osservazioni in base al diritto canonico
Il Dr. Werner Böckenförde, 70, già Professore all'Università di Francoforte e Canonico capitolare a Limburg, ha tenuto la relazione principale all'Assemblea federale di "KirchenVolksBewegung - Wir sind Kirche (Noi siamo Chiesa - KVB)", svoltasi a Würzburg il 3 e 4 ottobre 1998.
L'invito rivolto al Prof. Böckenförde anziché a uno dei noti "teologi progressisti" sarebbe stato un "rischio calcolato", come riferisce in una corrispondenza l'Agenzia cattolica d'informazione.
Contro ogni aspettativa le argomentazioni del Prof. Böckenförde hanno suscitato a Würzburg ampi consensi e sono state adottate come riferimento per ulteriori approfondimenti.
Il testo originale si trova in Internet all'indirizzo: http://www.kath.de/bistum/limburg/texte/boe_lage.htm
La traduzione in lingua italiana è di José F. Padova (jose.padova@rcl.it).
 

ATTUALE SITUAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA
Osservazioni in base al diritto canonico
del Dr. Prof. Werner Böckenförde

Premessa
L'invito a parlarvi oggi mi ha sorpreso. In un colloquio preliminare con il sig. Weisner avevo avanzato il timore che la mia relazione potesse mettere in difficoltà lui e le signore e i signori dell'équipe federale. Il mio rapporto non sarebbe stato del genere, ormai diventato di uso corrente, di "teologia della collera, dell'afflizione e del turbamento" (V. Conzemius), ma avrebbe esaminato analiticamente gli sviluppi degli ultimi dieci anni sotto il profilo del diritto canonico. Mi era chiaro il rischio di disilludere, se non di demotivare, attraverso uno sguardo realistico su dure realtà giuridiche. Ho chiesto se per il vostro Movimento non sarebbe stato più vantaggioso invitare uno dei numerosi teologi che vedono sé stessi come progressisti. Il sig. Weisner ha tenuto fermo il suo invito e spero che per questo egli non si sia dovuto "cospargere il capo di cenere". Abbiamo convenuto che in fondo al tema di questa riunione a livello federale, "Libertà cristiana invece di sacro dominio", campeggi un grande punto interrogativo.
Motore del vostro Movimento e delle vostre azioni è il Concilio Vaticano II, nel quale si è fatto spazio alla sofferenza per la Chiesa, sentita dai Vescovi stessi. Parallelamente all'apertura al compromesso dei testi conclusivi, uno scossone attraversa la Chiesa: finalmente una reazione all'ultramontanismo degli ultimi secoli, all'antimodernismo dell'inizio di questo secolo e alle angustie similmente oppressive negli anni '50. I testi del Concilio e molti dei relativi commenti mostrarono della Chiesa un volto più amichevole. Si percepì un allentamento dei freni. I laici svilupparono maggiore coscienza di sé, si rinfrancarono. Non vollero più essere soltanto Chiesa che ascolta, obbligata all'obbedienza. Molti fedeli sperarono nell'adempimento delle numerose promesse che nell'annuncio e nella teologia venivano documentate con i testi conciliari. Si accesero le speranze in una Chiesa fraterna, nella quale tutti i fedeli, uomini e donne, sia chierici sia laici, potessero riconoscere in dignità la loro asserita uguaglianza. Essi aspettavano competenze adeguate nell'organizzazione della vita ecclesiale. Si sperava nella fine del "sacro dominio" di pochi gerarchi su molti fedeli, nell'introduzione della libertà per i fedeli in Cristo anche nella Chiesa cattolica romana. Molti si sentirono disingannati, tanto più fortemente quanto più a lungo.
Una volta ancora: avete affidato questa relazione a un insegnante di diritto canonico. Essa porta il titolo: "Osservazioni in tema di diritto canonico circa l'attuale situazione nella Chiesa cattolica romana". Le mie osservazioni sono divise in due parti: dapprima si tratta della presentazione dell'attuale situazione, quindi di suggerimenti su come i fedeli possono gestirla.
I. LA SITUAZIONE GIURIDICA NELLA CHIESA
1. Il Codex Juris Canonici
Diciotto anni dopo la fine del Concilio l'attuale papa ha tratto conclusioni giuridiche dal Concilio Vaticano II. Tutti i cambiamenti significativi apportati al CJC rendono manifesto che dal Concilio non dovrebbero conseguire radicali conseguenze sul piano giuridico. Il legislatore ecclesiastico - e secondo la costituzione della Chiesa questi è in fondo e soltanto il papa - questo legislatore si è dimostrato deciso non solamente ad impedire qualsiasi messa in discussione della struttura gerarchica della Chiesa, ma anche a ulteriormente rafforzarla. La concezione papale della Chiesa si manifesta nei testi delle leggi emanate dal papa e vincolanti per tutti i cattolici, uomini e donne, nella misura in cui attengono al diritto divino, per tutti gli uomini. Io mi limito qui al Codex Juris Canonici, che ci riguarda direttamente.
a) La situazione del diritto
Diversamente dal Vaticano II il legislatore definisce soltanto il papa come "Rappresentante di Cristo", e non anche i vescovi. Egli è "Capo del "Collegio episcopale" e "Pastore dell'intera Chiesa". Egli dispone del più alto e diretto potere nella Chiesa. Egli possiede al disopra dei vescovi diocesani un primato di potere ordinario, vale a dire della "supremazia" nella Chiesa. Contro i suoi giudizi o decreti non vi è alcun mezzo giuridico, neppure per i vescovi. Il Collegio episcopale è parimenti portatore del potere supremo nella Chiesa universale insieme al papa e mai senza di lui.
Al vescovo diocesano spetta, nella diocesi affidatagli dal papa, potere autonomo e diretto; tuttavia ne è escluso ciò che secondo il codice giuridico papale o in seguito ad una particolare prescrizione del papa è riservato alle più alte Autorità ecclesiali.
I vescovi guidano la loro diocesi con potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Quello che essi stabiliscono come maestri della fede o come guide della Chiesa, i fedeli - nella consapevolezza della loro personale responsabilità - devono osservarlo con cristiana obbedienza (c. 212 § 1 CJC).
Il rifiuto di obbedienza, dopo l'ammonimento, è soggetto a punizione (c. 1371 n. 2 CJC).
Come in concreto i vescovi siano legati al papa nella "Communio" gerarchica può essere esemplarmente messo in evidenza dai criteri per la scelta dei candidati all'episcopato e dal giuramento di fedeltà, che ogni vescovo diocesano deve prestare prima della "presa di possesso" della sua diocesi, nella formulazione impiegata a partire dal 1 luglio 1987:
Vi cito dai criteri di idoneità i punti sulla ortodossia e la disciplina. Troverete l'elenco completo nella documentazione che è stata distribuita. Sotto "Ortodossia" ci si aspetta:
"Convinta e devota fedeltà all'insegnamento e al magistero della Chiesa. Particolare concordanza del candidato circa i documenti della Santa Sede sul ministero sacerdotale, sull'ordinazione delle donne, sul matrimonio e la famiglia, l'etica sessuale (specialmente la trasmissione della vita secondo l'insegnamento dell'enciclica "Humanae vitae" e della Lettera Apostolica "Familiaris consortio") e sulla giustizia sociale. Fedeltà alla vera tradizione ecclesiale e impegno per il vero rinnovamento avviato dal Concio Vaticano II e dalle susseguenti istruzioni papali".
Sotto "Disciplina" si dice:
"Fedeltà e obbedienza nei confronti del Santo Padre, della Sede Apostolica, della Gerarchia, osservanza e accettazione del celibato sacerdotale, così come viene proposto dal magistero ecclesiastico; rispetto e osservanza delle norme, generali e particolari, concernenti l'adempimento del servizio divino e in materia di sacro abbigliamento."
Il giuramento suona così:
Giuramento d'ufficio dei vescovi diocesani dal 1. luglio 87
"Io N.N. chiamato alla sede vescovile di N.N., sarò sempre fedele alla Chiesa cattolica e al Vescovo di Roma, suo supremo Pastore, al Rappresentante di Cristo e Successore dell'Apostolo Pietro nel Primato come al Capo del Collegio episcopale.
Mi atterrò al libero esercizio del potere di primato del papa sull'intera Chiesa, mi adopererò per seguire e difendere i suoi diritti e la sua autorità. Riconoscerò e rispetterò le prerogative e il governo degli inviati del papa che si presenteranno in suo nome.
Con grande cura salvaguarderò il potere apostolico trasmesso ai vescovi, in particolare di istruire, santificare e guidare il popolo di Dio, in comunanza gerarchica con il Collegio episcopale, il suo Capo e i suoi membri.
Favorirò l'unità di tutta la Chiesa e mi applicherò con cura affinché l'eredità di fede, lasciataci dagli Apostoli, venga conservata pura e intera, le verità osservate, i costumi rispettati, così come furono presentati dal magistero ecclesiastico, e che vengano insegnati e commentati a tutti. Correggerò con spirito paterno coloro che commettono errori nella fede e impiegherò ogni sforzo affinché ritornino alla pienezza della verità cattolica...
Nei periodi stabiliti o in date occasioni renderò conto del mio incarico pastorale alla Sede Apostolica, i cui mandati o consigli accetterò docilmente e adempirò con zelo."
A dispetto di tutta la teologia o ideologia della comunione, portata avanti con occhi raggianti, nell'attuale diritto ecclesiastico domina l'antica concezione della Chiesa come una "societas inaequalis". Così il papa Paolo VI, verso la fine (!) del Concilio Vaticano II disse alla commissione da lui formata: Il diritto canonico si fonda sul potere di giurisdizione, che Cristo ha assegnato alla Gerarchia. Ai laici manca la capacità di guida. Essi sono sottoposti alla Gerarchia e obbligati in coscienza ad obbedire alle leggi secondo quanto detto: "Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me" (Luca, 10,16). Seguendo queste affermazioni papali è stato elaborato il nuovo codice giuridico. D'altronde non conosco alcuna prescrizione che contravvenga alla lettera di una risoluzione o anche allo spirito sotto alcuni aspetti ambivalente di questo concilio.
La struttura di comando e obbedienza vale anche nel campo della divulgazione dell'insegnamento della fede. Da parte di ciascuno - anche dei vescovi - deve essere creduto quanto è contenuto nella parola di Dio, scritta o tramandata, e quanto viene presentato come manifestato da Dio, sia attraverso il papa o un Concilio, sia mediante il magistero ordinario del Collegio episcopale. In questi casi al papa rispettivamente al Collegio episcopale compete l'infallibilità. Colui che trasgredisce ostinatamente questa dottrina si attira la punizione della scomunica. Una dottrina del papa o del Collegio episcopale, divulgata come vincolante, se non come definitivamente obbligatoria, deve essere accettata da tutti - anche dai vescovi - con senso religioso e obbedienza della volontà. Chi rifiuta tali dottrine o in seguito ad ammonimento non ritratta, secondo la volontà del legislatore deve essere punito. I vescovi sono tenuti ad esercitare l'azione penale. Ciò che fino al 1983 era già moralmente tassativo è diventato ora in più un obbligo giuridico, la cui infrazione diventa punibile.
Queste disposizioni sul papa, i vescovi diocesani e i laici indicano: anche dopo il Concilio la guida gerarchica della Chiesa resta intatta. L'appello all'uguaglianza di tutti i fedeli riceve risposta nel can. 208 del CJC: Secondo l'immagine che il magistero ecclesiastico ha di sé la "vera" uguaglianza consiste nella dignità del battesimo. Questa è una eguaglianza che include la disuguaglianza nella posizione giuridica, secondo stato e il sesso. Nel can. 208 CJC si dice: "Fra tutti i fedeli esiste ... una vera eguaglianza ..., in forza della quale tutti, secondo il loro stato e il loro compito, collaborano alla edificazione del Corpo di Cristo." L'aspirazione alla libertà e alla responsabilità è stata appagata con la richiesta di obbedienza, puramente sulla base dell'autorità formale, indipendentemente dalla convinzione. I laici, oggi come allora, formano la in ascolto. Fin qui l'ordinamento giuridico con la sua esigenza di obbedienza.
b) La realtà giuridica
Come stanno le cose circa l'osservanza delle leggi canoniche? Per quanto riguarda la situazione giuridica di coloro che sono "assoggettati" al diritto canonico qualcosa è cambiato. Quanto viene ancora preso sul serio, oggi, il diritto della Chiesa? In effetti esso può essere imposto soltanto a coloro che sono nel servizio ecclesiastico e quindi in una condizione di dipendenza materiale. Vi è una frattura fra quello che viene preteso da Roma e ciò che in pratica accade nella cura delle anime. Questa frattura è evidente fra preti e laici, anche fra il vescovo diocesano e i suoi sacerdoti, in parte anche fra il papa e i vescovi. Si dice: "Fulda è lontana, Colonia pure, Roma lo è ancor più". Molti chierici e molti laici si sentono obbligati in coscienza a rifiutare l'applicazione dei comandi di Roma e molti vescovi diocesani tollerano ciò, finché la cosa non appare sui giornali o non suscita proteste.
Quello che qui viene alla luce - soprattutto nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti d'America, ma non soltanto in questi Paesi - è una netta diminuzione dell'autorità nella Chiesa universale. Invece di eseguire obbedienti l'ordine ingiustificato i fedeli si sono ricordati che vi fu un tempo nel quale valeva: "Ma voi fate sì che l'unzione che avete da Lui ricevuta rimanga in voi; e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma siccome la sua unzione vi insegna tutte le cose ed è verace e non menzognera, rimanete in Lui, come ella vi ha insegnato." (I Giov. 2,27). Al papa e ai suoi più stretti collaboratori questa perdita di autorità non è rimasta nascosta. Ci si pone la domanda: cambiamento o inasprimento del diritto? Uno sguardo sugli ultimi dieci anni mostra che: con la rabbia dell'"Ora più che mai!" e senza considerare l'incombente emarginazione del cattolicesimo si è scelta la seconda variante.
2. Un decennio di dichiarazioni romane
a) Aggiunte alla Professio Fidei e introduzione di un nuovo giuramento di fedeltà
Secondo il Codex determinate persone, alle quali è comune una particolare relazione con l'attività di magistero ecclesiastico (p. es., vescovi, cardinali, docenti di teologia, candidati al sacerdozio prima della consacrazione a diacono), prima dell'assunzione dell'incarico, rispettivamente prima della consacrazione, devono rilasciare una dichiarazione conforme a una enunciazione approvata dalla Santa Sede. Con questa essi manifestano di essere in totale comunione spirituale con la Chiesa cattolica romana. Nonostante sia chiamata Confessione di "fede" essa non ha a che fare solamente con il Credo. Mediante aggiunte vi sono compresi anche altri insegnamenti.
Dal 1990 hanno proprio vigore alcune nuove integrazioni. Dalla prima e dalla terza aggiunta si può ora riconoscere ciò che già vi è nel Codex: la fede in rapporto alle dottrine sulla Rivelazione, l'obbedienza relativamente a tutte le dottrine non definitive. Nella seconda aggiunta si va al di là del Codex. Deve essere promessa la vincolante accettazione e conservazione - nel senso di irrevocabile adesione - di altre, definitive dottrine sulla fede e sulla morale, non comprese nella Rivelazione. Nella teologia postconciliare era controverso se il Magistero in questo campo abbia particolari competenze di pronunziarsi in modo definitivo. L'Autorità ecclesiastica universale non ha mai lasciato trasparire dubbi circa questa rivendicazione e ora fissa giuridicamente detta posizione. Le tre aggiunte furono pubblicate in lingua latina e le Conferenze episcopali ebbero incarico di tradurle. La Conferenza episcopale tedesca a tutt'oggi, quindi dopo otto anni, non ha diffuso alcuna traduzione ufficiale. In Germania non è stato richiesto il giuramento in questa forma; si impiega la vecchia formula del 1967.
La Confessione di fede è stata integrata dall'introduzione di un Giuramento di fedeltà. Fino ad ora soltanto i vescovi erano legati da un loro proprio giuramento. Adesso è in vigore anche per i titolari di altre funzioni - per es., i vicari generali, i candidati al sacerdozio, i docenti di teologia - un apposito giuramento, con il quale chi giura si obbliga, con un atto religioso, ad adempiere i doveri del suo ufficio garantendo la dottrina della fede e della morale come pure l'intero ordinamento giuridico. Mentre l'art. 212 § 1 CJC accanto all'obbedienza cristiana nei confronti del magistero e delle direttive pastorali richiama anche la "consapevolezza della propria responsabilità", nella formula del giuramento questo riferimento manca. Ciò rafforza quella interpretazione canonica di questo articolo, secondo la quale per il legislatore il criterio guida di un agire responsabile è l'obbedienza, e non invece la propria responsabilità come misura dell'obbedienza richiesta. A ciò corrisponde inequivocabilmente anche il c. 752 CJC.
Lo scopo di queste disposizioni è evidente: per lo meno a livello di dirigenti e di propagatori della dottrina la frattura fra la norma e la sua osservanza deve essere eliminata; il giuramento innalza alla dimensione religiosa i doveri da assumere. Il giuramento premeditatamente falso configura un delitto contro la religione e l'unità della Chiesa (c. 1368 CJC).
Il legislatore si è accorto che le pretese giuridiche inserite nel Codex non fanno presa. Egli non è stato in grado di garantire la loro osservanza neppure mediante interventi nel caso singolo. Per questo motivo egli ha fatto ricorso all'analogia con il malfamato giuramento antimodernista come mezzo di universale prevenzione e ne ha imposto l'obbligo ai propagatori e alle propagatrici della dottrina. Per costoro dovrebbero valere le aggiunte al Credo e la combinazione di manifestazione di fede e giuramento di fedeltà, che garantirebbero ampia protezione contro ogni deviazione, di genere dottrinale o disciplinare, dalle autentiche prescrizioni della gerarchia ecclesiastica. Il giornalista Guido Horst riferisce nella "Deutsche Tagespost" che proprio il 30 giugno 1998 la Curia romana ne ha esposto, nella sala stampa del Vaticano, una traduzione tedesca, per garantirsi la divulgazione della proprie pretese anche presso la Chiesa in Germania.
b) Istruzione "Donum Veritatis" della Congregazione per la propagazione della fede sulla designazione ecclesiastica dei teologi, del 24 maggio 1990
Vi furono ulteriori tensioni fra il magistero della Chiesa e i teologi. Nel 1990 la Congregazione per la dottrina della fede indirizzò una istruzione ai vescovi in quanto titolari del potere esecutivo. Fra l'altro si tratta qui dell'atteggiamento di obbedienza verso le dottrine non definitive. Sono dichiarati inammissibili dal Magistero tutti i non-consensi ed anche il confronto in pubblico con il Magistero. "Il teologo in questi casi eviterà di fare ricorso ai mass-media e invece interpellerà le Autorità responsabili" (n. 30). Una difficoltà ineliminabile mediante il contatto diretto con l'Autorità ecclesiastica può risolversi in via eccezionale in un obbediente silenzio. "Per un atteggiamento leale, alla cui base stia l'amore per la Chiesa, una situazione di questo genere può costituire una prova difficile. Essa può essere un appello alla sofferenza silenziosa e nella preghiera, nella certezza che, se veramente si tratta della verità, essa necessariamente alla fine si afferma" (n. 31). Per i pastori del luogo cresce il compito di occuparsene con i mezzi adeguati.
c) Istruzione "Il Concilio" della Congregazione per la propagazione della fede per la dottrina di fede su alcuni aspetti dell'uso dei mezzi di comunicazione per la diffusione del magistero, del 20 marzo 1992
Allorché nei tempi successivi non mancò pubblica opposizione all'autorità anche sui mass-media, la stessa Congregazione concluse che i vescovi avessero problemi sulla sorveglianza dei mezzi di comunicazione e decise quindi nel 1992, mediante una nuova Istruzione, di richiamare le Autorità ecclesiastiche locali al loro dovere di controllo, rammentando loro i mezzi disponibili allo scopo nel Codex Juris Canonici. Quest'ultimo obbliga i vescovi diocesani e l'amministrazione da essi dipendente all'impiego conseguente delle norme in vigore e in caso di necessità richiama la possibilità di un intervento della Chiesa universale. 
d) La Lettera Apostolica "Ordinatio Sacerdotalis" di papa Giovanni Paolo II ai Vescovi sull'ordinazione sacerdotale riservata ai soli uomini, del 22 maggio 1994
Nel 1994 seguì la Lettera Apostolica "Ordinatio Sacerdotalis" sull'impossibilità per le donne di ricevere la consacrazione sacerdotale. Si disputò dapprima circa l'obbligatorietà di questa dottrina. Il papa l'ha ora specificata come definitiva, ovvero come inappellabile e irrevocabile e la Congregazione per la propagazione della fede come dottrina infallibile, classificandola nel senso della citata seconda aggiunta alla Manifestazione di fede. Viene imposta l'incondizionata e irrevocabile adesione a questa dottrina definitiva. Inoltre il papa ha fatto valere l'infallibilità del magistero ordinario e universale del Collegio episcopale mondiale. L'infallibilità della dottrina si fonda quindi sulla concordanza del Collegio episcopale circa questo insegnamento. Dal momento che il papa constata questa concordanza e da parte dei Vescovi non si avanza alcuna opposizione, l'infallibilità diventa manifesta per i fedeli può entrare in vigore la responsabilizzazione imposta mediante la legge canonica. In relazione a questa dottrina la mancanza di unanimità viene già severamente punita da Roma. Là dove non vi è alcun rapporto di dipendenza diretta dalla Autorità ecclesiastica non si poté tuttavia impedire l'ulteriore discussione e la richiesta della consacrazione sacerdotale per le donne.
e) L'Enciclica "Evangelium vitae" di papa Giovanni Paolo II sulla intenzionale eliminazione della vita umana, del 25 marzo 1995
Nella società si discute sulla legittimazione della pena di morte, sull'ammissibilità morale e giuridica dell'aborto, come pure sulla problematica dell'eutanasia. Nel 1995 appare l'Enciclica "Evangelium vitae". Con essa il papa constata la propria concordanza con i vescovi sulla dottrina, dicendo che l'uccisione di una persona innocente è sempre un grave delitto morale e così pure lo sono l'aborto e l'eutanasia. Anche queste dottrine ricadono nell'ambito della seconda aggiunta alla Manifestazione di fede ed esigono incondizionata e irrevocabile adesione a norme morali concrete. Il papa ha nuovamente fatto ricorso all'infallibilità del Collegio episcopale in materia di magistero e ha reso manifesta l'infallibilità di questa dottrina, mediante la constatazione del consenso, su cui l'infallibilità si fonda. Egli ha qualificato questa forma di insegnamento dottrinale dotato di infallibilità come la forma abituale e ordinaria. Con questa enciclica il papa ha per la prima volta fatto ricorso all'infallibilità nel campo di norme di comportamento concrete e morali.
f) Vademecum per Confessori su alcune questioni di morale matrimoniale
Nel febbraio 1997 il Consiglio pontificio per la famiglia ha pubblicato un manuale per i confessori, realizzato "su esplicito desiderio del Santo Padre", nel quale si dice: "La Chiesa ha sempre insegnato che la contraccezione, vale a dire ogni atto sessuale reso intenzionalmente infruttifero, è in sé stesso un comportamento peccaminoso. Questa dottrina deve essere considerata come definitiva e immodificabile." Questo è l'insegnamento della "Humanae vitae". Un portavoce del Vaticano spiegò e scrisse dopo la pubblicazione di questa enciclica che essa non sarebbe un documento infallibile. Il Consiglio papale applicò a questa dottrina una aggiunta sulle sue caratteristiche di definitiva e immodificabile. Questa integrazione è finora una mera asserzione. Si spera che si presentino in numero sufficiente vescovi che contestino questa aggiunta. Altrimenti il papa può agire, come già accaduto, secondo la vecchia norma giuridica: "Chi tace acconsente" ("Qui tacet consentire videtur"). Il silenzio dei vescovi verrebbe quindi interpretato come espressione tacita di convincimento e di avallo.
g) L'Istruzione "De synodis diocesanis agendi" della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli ("propaganda fide"), del 19 marzo 1997
Nel marzo 1997 venne diffuso in forma di una istruzione, un sussidio per il corretto svolgimento dei sinodi diocesani e di simili manifestazioni. Prima dell'inizio dei dibattiti i partecipanti al sinodo pronunciano la Confessione di fede con le aggiunte. L'Istruzione sottolinea la posizione del vescovo diocesano. Egli ha il dovere di allontanare i membri del sinodo le cui interpretazioni si discostino dal magistero della Chiesa o si pongano contro l'autorità vescovile, mentre è concesso un mezzo giuridico di ricorso. Il vincolo che lega la diocesi e il suo capo alla Chiesa universale e al papa impone al vescovo diocesano l'obbligo di escludere dalla discussione tesi o punti di vista che si discostano dalla dottrina della Chiesa o dall'insegnamento del papa o che tocchino questioni disciplinari, che sono riservate alle più alte Autorità (vedi IV,4 del testo). In Germania, sotto definizioni diverse (forum, ecc.), si sono tenute assemblee parasinodali, per non essere costretti alle regole del Codex. L'Istruzione esprime il desiderio che il vescovo diocesano voglia emanare per queste riunioni delle disposizioni simili a quelle dell'Istruzione (prefazione, capoverso 4).
h) Istruzione circa alcune questioni sulla collaborazione dei laici al servizio dei sacerdoti, del 15 agosto 1997
Nell'agosto 1997 è apparsa l'Istruzione, compilata da più Congregazioni, circa alcune questioni riguardanti la collaborazione di laici al servizio sacerdotale, contro il cui contenuto si è polemizzato da parte di molti, probabilmente perché comprende norme limitative all'operato dei laici. Per chi conosce il diritto canonico queste norme correnti sono in vigore da anni. A mio parere è irritante l'accenno all'inserimento dei laici, che porterebbe ad "una riduzione dei candidati al sacerdozio" (2), e la regola dell'art. 4 § 2: "Il compimento del 75° anno di un religioso non costituisce alcun fondamento per l'accettazione da parte del vescovo diocesano delle sue dimissioni dall'incarico."
i) Lettera Apostolica emanata motu proprio "Ad tuendam fidem", mediante la quale determinate norme vengono introdotte nel Codex Juris Canonici e nel Codex per le Chiese Orientali, del 18 maggio 1998
Con il Motu Proprio "Ad tuendam fidem" pubblicato nel giugno 1998 il papa ha modificato il Codex. Se (prima) la seconda aggiunta alla Manifestazione di fede doveva di per sé essere riconosciuta (ndt: come coercitiva) dalla già ricordata cerchia di propagatori e propagatrici della fede, mediante questa integrazione al Codex è ora diventata un obbligo giuridico per tutti i fedeli. Il can. 750 ricevette un § 2. La relativa trasgressione deve essere punita con una pena adeguata. La definizione della pena del can. 1371 n. 2 CJC subì una corrispondente integrazione. Quindi colui che sostenesse l'ordinazione sacerdotale per le donne, dal momento dell'entrata in vigore della Lettera il 1° ottobre 1998, può essere ammonito a ritrattare dal proprio vescovo diocesano e rispettivamente punito, ma di ciò può essergli chiesto conto anche direttamente da Roma. Non consideratemi un sobillatore. Sono invece ansioso di vedere come ora il vescovo di Dresda-Misnia se la caverà con il presidente dello ZdK, il sig. Meyer, e l'arcivescovo di Berlino con la sig.ra Laurien, dopo l'entrata in vigore della lettera apostolica (nota del traduttore: i due ministri Meyer e Laurien, membri del Comitato dei Cattolici in Germania - ZdK -, avevano pubblicamente espresso il loro dissenso sulla decisione pontificia riguardante l'impossibilità dell'ordinazione sacerdotale per le donne, prima però che questa dottrina venisse dichiarata "definitiva").
j) Lettera Apostolica motu proprio "Apostolos suos" sulla natura teologica e giuridica delle Conferenze episcopali, del 21 maggio 1998
Nel luglio 1998 il cardinale Ratzinger pubblicò una Lettera Apostolica sulla natura teologica e giuridica delle Conferenze episcopali. Si risale ad una iniziativa del Sinodo episcopale del 1985. Già nel 1988 vi fu un documento di lavoro elaborato da diverse Congregazioni. Per semplificare, esso si sosteneva sulla tesi che il diritto divino è materia esclusiva del papa e del vescovo. Quello che si interpone, ad esempio le Conferenze episcopali, è di diritto ecclesiastico e quindi sopprimibile. Le Conferenze episcopali servono particolarmente allo scambio di comunicazioni tra colleghi nell'episcopato, per lo più su questioni pastorali, e per intese che non vincolano il singolo vescovo. Esse non possono diventare una istanza gerarchica interinale e non possono bloccare la responsabilità personale del vescovo diocesano nella direzione della sua diocesi. Malgrado le critiche al ricordato documento di lavoro, la sua linea di fondo è entrata nella Lettera Apostolica. Ancora una volta: è chiaro ciò che già è prescritto nel can. 455 § 4 CJC, ovvero che nella maggior parte dei temi una risoluzione della Conferenza episcopale costituisce soltanto una raccomandazione. La Lettera Apostolica contiene per di più una integrazione di legge in relazione alle competenze di magistero delle Conferenze episcopali secondo il can. 753 CJC. La Conferenza episcopale non è portatrice di una propria competenza di magistero. Essa è innanzitutto "traduttrice" di dottrine della Chiesa universale. Alle sue dottrine compete carattere vincolante soltanto quando esse sono presentate all'unanimità. Non si tratta quindi di competenza nel magistero della Conferenza episcopale in quanto tale, ma piuttosto dell'insegnamento dei singoli vescovi unanimemente espresso. Se per una dottrina si raggiunge una maggioranza di soli due terzi, per la sua obbligatorietà è necessaria una conferma da Roma.
3. Riepilogo
Gerarchia viene tradotta con "sacra origine" e "sacro dominio". Quello che è stato rilevato sotto l'aspetto del diritto ecclesiastico significa, secondo la Costituzione della Chiesa e considerando il modo in cui il potere viene esercitato, "sacro potere". E come stanno allora le cose riguardo alla "libertà cristiana"? Ciò che nella Chiesa realmente esistente viene richiesto ai fedeli significa comprendere e accettare il "sacro potere" come vera forma di libertà cristiana. Non può legittimamente esservi libertà contro gerarchia e magistero, per la concezione che questi hanno di sé. "La coscienza", così ripete l'Enciclica "Veritatis splendor", "non è una istanza autonoma e assoluta per decidere che cosa è buono e che cosa è cattivo; in essa è molto più profondamente impresso un principio di obbedienza alla norma obiettiva, che fonda e condiziona la conformità delle sue decisioni con le norme e i divieti che stanno alla base del comportamento umano" (n. 60). E oltre: "I cristiani trovano nella Chiesa e nella sua dottrina un grande aiuto per la formazione della coscienza" (n. 64). Riassumendo, la formula suona così: La libertà cristiana ha il suo compimento nell'obbedienza. Voi vedete quanto era giustificato il mio desiderio di mettere un punto interrogativo alla formulazione del tema della vostra riunione.
II. Come possono comportarsi con questa realtà ecclesiastica?
Quanto si è finora accertato può lasciare esterrefatti. E' comprensibile che voi ora chiediate: che cosa si può ancora fare nei confronti di una tale chiusura del sistema? Che possibilità rimangono per i fedeli che non vogliono rassegnarsi o rifugiarsi nell'opposizione assoluta, ma vogliono potersi muovere dentro la loro Chiesa?
1. Sogni e realtà nella Chiesa
Il passo fondamentale consiste nell'affrontare questa situazione con occhi aperti, nel percepire la Chiesa così giuridicamente costituita come essa è nella realtà, riconoscere nella forma giuridica della Chiesa l'immagine di Chiesa che ne ha il legislatore. Lo sguardo lucido su tutto questo libera, libera dalle illusioni, sia proprie che di altri, che abbelliscono e corrispondono ai desideri circa uno stato di cose in realtà molto meno positivo. Nulla contro i "sogni sulla Chiesa", ma tutto contro il loro baratto con la realtà ecclesiastica. Nulla contro i "sogni sulla Chiesa" come visione motivante, ma tutto contro la loro realizzazione come Chiesa secondo i propri desideri, che lascia indisturbata la Chiesa realmente esistente. Prima di tutto quindi: Lo sguardo sulle strutture. Senza questa visione nitida nessuna capacità di valutazione, senza quest'ultima nessuna effettiva strategia di comportamento.
2) Vigilanza contro il minimizzare e sottovalutare
Che quanto si è reso palese possa essere percepito come realtà tanto dura lo dimostra il fatto che lo si è dovuto ottenere contro manovre ostruzionistiche. Per conservarlo occorre difenderlo contro nuove opposizioni. Per questo i semplici fedeli dovrebbero essere vigili contro i diversi modi di minimizzare e sottovalutare che si diffondono oggi nella Chiesa e che, intenzionali o no, sopiscono e impediscono il cambiamento. Qui di seguito sono presentate forme di minimizzazione e sottovalutazione.
a) Personalizzazione di difetti di struttura
Una forma sottile ma diffusa di minimizzazione consiste nel personalizzare problemi strutturali. Con ciò essi vengono "rimpiccioliti" al livello di problemi di e con persone singole. Particolari bersagli sono in Vaticano il papa Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger, in Germania il cardinale Meisner e l'arcivescovo Dyba, nel Liechtenstein l'arcivescovo Haas, in Austria l'arcivescovo Eder e i vescovi Krenn e Küng. Per quanto giustificata possa essere qualche critica, è necessario chiedersi se essa non colpisca troppo vicino, se qui non si critichi nelle persone ciò che le strutture rendono possibile. Di contro a questi "spauracchi" gerarchici possono inoltre profilarsene altri come "figure luminose", ai quali non deve necessariamente importare il cambiamento delle strutture. I fedeli non devono perdere di vista le strutture. Essi dovrebbero guardare alla dottrina stabilita per via gerarchica e alle decisioni direzionali legittimate per via gerarchica.
b) Sottovalutazione di questioni giuridiche
La minimizzazione con effetto di stabilizzazione sul sistema avviene là dove le questioni di diritto vengono classificate come secondarie o addirittura denigrate come "contemplazione narcisistica", "fissazione da addetto ai lavori" o "rispecchiare sé stessi". L'impegno dei cattolici e delle cattoliche dovrebbe valere per i problemi veramente importanti: le condizioni di vita nel Terzo mondo o la questione della religione, che dovrebbe costituire oggetto di attenzione contro "l'evaporazione della fede". In questo campo si tratta di finte alternative particolarmente irritanti, poiché in esse è intessuto il degrado morale. Come se per questioni di struttura i cattolici e le cattoliche sensibili dimenticassero la miseria del Terzo mondo! Io ritengo preoccupante la strumentalizzazione di questa indigenza a scopo di manovra diversiva politico-ecclesiastica, come se la vitalità della questione religiosa fosse indipendente dalle esperienze della Chiesa. E le esperienze della Chiesa sono anche condeterminate dalla forma dell'ordinamento ecclesiastico. A questo punto mi sia permessa una osservazione sul diritto canonico. Presumo che molti di voi non lo amino. Questo lo posso capire. Non c'è bisogno di amarlo, ma di conoscerlo. Perché? Perché possiate risolvere ordinatamente i conflitti che dovete affrontare. Le spiritualizzazioni del diritto, subordinate ad interessi - all'incirca col concetto di "communio" - portano a relativizzare in senso spirituale i pochi capisaldi giuridici, che difendono dall'arbitrio della gerarchia. Noi abbiamo bisogno non di poche norme ecclesiastiche, ma di altre, che meritino il nome di Diritto.
Tornando indietro: chi sottovaluta o minimizza problemi di struttura deve lasciare che gli sia chiesto se forse è beneficiario dello status quo.
c) Armonizzazione nell'apostolato e nella teologia
Un metodo di ammorbidimento, difficile da decifrare, nell'apostolato e nella teologia consiste nell'avvolgere dure strutture ecclesiastiche in morbidi concetti e immagini. I fedeli devono stare in guardia quando lo status quo viene descritto come se il suo cambiamento non fosse necessario. Chi ha sempre in bocca il termine "communio" non designa forzatamente una Chiesa fraterna nel senso più volte sperato. Chi sostiene che la Chiesa sia già "communio" deve essere pregato - eventualmente chiedendo ulteriori informazioni - di concretizzare la sua affermazione. Soltanto se egli aggiunge l'attributo "hierarchica" la sua asserzione è esatta. Chi parla di libertà nella Chiesa deve dimostrarla; oppure deve ammettere di intendere anch'egli "obbedienza", perché la libertà cristiana non è la stessa cosa della libertà secolare. Una Chiesa rappresentata nell'immagine di "cerchi concentrici" sostituisce forse l'ordinamento superiore e inferiore, a piramide, con la disposizione in posizioni centrali e periferiche. Eppure una piramide "descritta come piatta" non perde automaticamente le sue strutture interne di dipendenza. Intenzione e/o effetto di simili descrizioni è quello di presentare intatte al fedele le strutture, in modo tale che egli ci si senta maggiormente a suo agio. Chi è a proprio agio non "mugugna". Ma la visione chiara della realtà minaccia così di andare perduta. Anche qui la domanda: Chi approfitta di tutto ciò?
d) Acquietamento mediante presunta "relativizzazione"
Una forma altrettanto diffusa di acquietamento sono i suggerimenti, che non tutto ciò che viene da Roma deve essere preso così sul serio. Questo di per sé è una chiara manifestazione della perdita di autorità del Centro, ma è nello stesso tempo un atteggiamento pericoloso, che va a detrimento dei fedeli. Quello che nel 1988 era un documento di lavoro dei prelati romani sulle condizioni delle Conferenze episcopali, nel 1998 è una legge. Progetti dottrinali, che oggi non vengono decisamente contestati, possono domani fare parte integrante della tradizione tassativa della Chiesa. Sulla odierna mancanza di opposizione contro la definizione di determinate dottrine come definitive può essere fondata domani la loro infallibilità.
Acquietamento mediante rinvio
Non si deve infine dimenticare la nota affermazione che nella Chiesa gli orologi seguano un ritmo diverso. Ciò che oggi non c'è, non è escluso possa esserci prima o poi nel futuro. Per lo meno secondo la mia impressione, qui si presuppone un concetto di tempo per i cattolici, uomini e donne, ormai definitivamente passato. Soprattutto è sospetta la totale indeterminatezza dei tempi, con la quale si raccomanda perseveranza nell'indulgente attendere e sopportare.
L'attenzione dei fedeli dovrebbe rivolgersi sui vescovi diocesani
In che direzione rivolgere lo sguardo, che cosa si può fare? A mio avviso l'attenzione dei fedeli dovrebbe maggiormente dirigersi verso i vescovi diocesani. Considero le petizioni direttamente indirizzate a Roma come donchisciottesche. Pretendere da Roma maggiore libertà per i vescovi resta un gioco sterile, finché non sia chiaro se i vescovi alla fine facciano di loro stessi dei papi diocesani o se invece nei confronti del papa perseguano maggiore partecipazione, per amore delle richieste che, attraverso la partecipazione, sono state articolate da parte dei fedeli. 
Sulla situazione dei vescovi diocesani
I vescovi diocesani sono i diretti rappresentanti del sistema gerarchico. Si tratta di uomini con differenti vedute e capacità di comprensione, con lungimiranze divergenti. Essi hanno differenti posizioni sulla politica ecclesiastica e sono sovente tormentati da paure. Si può pensare che essi si chiedano: che effetto ha quanto affermo sui vescovi delle vicine diocesi, sulla Conferenza episcopale, in Vaticano? Ci possono essere vescovi che su un punto determinato si sono avventurati troppo in avanti e che temporaneamente non vogliono arrischiare un nuovo conflitto. Ad altri vescovi può semplicemente mancare la libertà di fare di più per la partecipazione del popolo di Dio. I vescovi occupano il loro ufficio perché a suo tempo offrirono a Roma la garanzia di "fedeltà alla linea direttiva" secondo i criteri di scelta e attraverso il giuramento di fedeltà. Essi non rilevano, o se ne rassegnano in loro stessi, la discrepanza fra la dignità definita teologicamente dell'ufficio vescovile e la reale situazione giuridica.
Questioni circa questa situazione giuridica
Perché dovrebbe essere risparmiato ai vescovi di accettare questa discrepanza o invece di contrastarla, e questo anche di fronte ai fedeli? Perché dovrebbe essere loro risparmiato di mostrare se essi considerano i fedeli soltanto come ascoltatrici e ascoltatori e subalterni o invece come partner da prendere sul serio e fratelli nel Signore? Tutto questo non racchiude alcun spirito di aggressione. Si tratta piuttosto e molto più di rafforzare la consapevolezza della necessità e della possibilità di maggiore partecipazione, e questo non in modo sovversivo e passando oltre i vescovi, bensì rivolgendosi ad essi e coinvolgendoli, affinché possano eliminare le loro paure del contatto (con i fedeli). Simili paure, ma anche i segni della loro parziale rimozione, erano riconoscibili, per esempio, in qualche "forum diocesano".
Questioni circa la partecipazione dei fedeli
Il semplice strumento che si offre è quello di chiedere sempre e ancora, pazientemente, ma con decisione, ai vescovi diocesani informazioni sulla loro posizione riguardo alle diverse richieste dei fedeli. Questo non lede alcun senso di lealtà e deve avvenire in forma adeguata. Soltanto così si previene il noto espediente di sottrarsi alla discussione sui fatti con la critica allo stile. Si tratta qui di comunicare che non è all'opera alcun gruppo ostile alla Chiesa, ma invece fedeli interessati alla trasmissione della fede e alla vita ulteriore della Chiesa. Perché dovrebbe essere evitato a un vescovo diocesano di motivare come mai non prende i provvedimenti giuridicamente possibili per una maggiore partecipazione dei fedeli, perché non fa alcuno o maggior uso della possibilità giuridicamente datagli di autonomo impegno? Il Consiglio sacerdotale può proporre al vescovo diocesano di contemplare nello Statuto, che dal vescovo deve essere approvato, un diritto di assenso del Consiglio stesso per le questioni concrete. Per il Consiglio pastorale diocesano si può pensare ad una regola secondo la quale il vescovo espone i suoi motivi contro una proposta e la mette in discussione. Le risoluzioni del Consiglio parrocchiale, che trovino il voto contrario del parroco, possono - come accade nella diocesi di Limburg - in un primo tempo restare sospese nell'effetto, finché, dopo infruttuoso tentativo di composizione, su domanda del Consiglio pastorale la decisione passa al vescovo. Se il vescovo rifiuta una simile possibile regolamentazione devono essergliene chiesti i motivi. Se egli ritiene di non essere tenuto alla motivazione, questa è una importante informazione sulla concezione che egli ha del proprio ufficio.
I vescovi della Provincia ecclesiastica dell'Alto Reno sulla possibilità di ricevere la comunione da parte dei separati che si risposano
Perché in un primo tempo i vescovi della Provincia ecclesiastica dell'Alto Reno hanno appoggiato un "tentativo" nella questione della ammissione all'eucaristia e hanno appoggiato con la loro responsabilità vescovile una prassi già da molto tempo applicata nella cura delle anime? Proprio perché essi nella loro coscienza pastorale si sentivano obbligati a questo in considerazione dello stato di necessità dei colpiti dall'esclusione. Ma perché dopo il rimprovero da Roma essi hanno rimesso la responsabilità sulle spalle dei curatori d'anime locali? E' forse cambiata la loro decisione di coscienza o la loro valutazione dello stato di necessità? Dunque i motivi dovrebbero essere spiegati. Oppure essi ritengono secondo coscienza di non dovere o poter sostenere nei confronti di Roma la loro decisione? Si può loro chiederlo.
e) Discussione preliminare sulla Lettera "Ordinatio sacerdotalis"
Prima che la Lettera Apostolica sull'impossibilità dell'ordinazione sacerdotale per le donne fosse pubblicata, a uno scelto gruppo di vescovi, probabilmente anche i presidenti della Conferenza episcopale tedesca, venne sottoposta a Roma una prima stesura. Un giornale americano riferì come, su pressioni dei vescovi americani, si fosse sostituita l'espressione "infallibile" con "definitive tenendam", che però comprende l'infallibilità. Ai vescovi partecipanti possono essere richieste spiegazioni su come si sono svolti i fatti. Secondo quali criteri sono stati scelti i vescovi convocati? In che contesto e in quale forma hanno potuto prendere posizione? Come era il loro atteggiamento circa l'obbligatorietà di questa dottrina? Lo hanno espresso chiaramente? Se hanno ritenuto la dottrina non irreversibile, perché prima o dopo la pubblicazione della Lettera non si sono opposti? Perché i vescovi coinvolti non hanno subito portato a conoscenza dei loro confratelli nell'episcopato, nel sacerdozio e diaconato, come pure del popolo di Dio, quanto avevano appreso a Roma, ma hanno tenuto nascosti i fatti? La dignità dei fedeli non esige forse che essi vengano informati circa un passo di tale importanza?
f) Disposizione sul diaconato della donna
Ai vescovi diocesani può essere chiesto che posizione hanno circa il diaconato femminile, se lo respingono in toto e perché, che cosa precisamente intendono in materia: un ufficio specificamente femminile al di fuori dell'ordinazione in tre gradi riservata agli uomini oppure un diaconato come primo grado dell'ordinazione, che secondo la dottrina della "Ordinatio sacerdotalis" per le donne è però anche l'ultimo? Tutte queste sarebbero informazioni importanti non soltanto per le donne. Se un vescovo si pronunciasse a favore del diaconato femminile, può essergli chiesto che cosa si dispone a fare perché nella Chiesa si realizzi questo suo convincimento?
g) "Risoluzioni" della Conferenza episcopale
Perché riflessioni e decisioni della Conferenza episcopale devono restare così ampiamente riservate? Soltanto in poche occasioni essa può prendere decisioni vincolanti. Negli altri casi viene mantenuta integralmente: la competenza del vescovo diocesano; queste risoluzioni sono soltanto raccomandazioni; né la Conferenza né i Presidenti possono agire in nome dei vescovi, se non tutti hanno dato il loro consenso. Certamente vi sono situazioni che - specie in questioni personali - esigono di essere trattate riservatamente. Ma perché non può essere chiaro per tutti quale posizione ha preso il vescovo negli altri casi? Perché non si può chiedere al vescovo informazioni circa il suo voto?
h) I vescovi diocesani e il "sensus fidelium"
Quando i vescovi danno in Vaticano relazione circa la loro diocesi - sia per iscritto che verbalmente -, un punto importante è ciò che essi asseriscono sul "sensus fidelium" nella loro diocesi, in altre parole su quello che effettivamente viene creduto dalle e dai fedeli della diocesi. Il cardinale Ratzinger nel suo libro "Salz der Erde" (Sale della terra) pubblicato nel 1996 rispose alla domanda se il Vaticano interrogasse su quel tema anche rappresentanti del popolo di Dio, scrivendo che egli partiva proprio (dal fatto) che i vescovi fossero perfettamente informati sulla questione e che ne riferissero (pag. 96f). Ai vescovi si può quindi chiedere se e come essi si informino sul "sensus fidelium" dei fedeli loro affidati, come pure se e che cosa essi riferiscano a Roma in proposito.
i) Circa la risposta a domande
Queste e altre domande i fedeli possono porle personalmente al vescovo negli organi consultivi. Altri fedeli dovrebbero indirizzarle al vescovo in forma di lettera. Essi dovrebbero farsi suggerire la formulazione più idonea per esprimere con precisione i propri concetti. Perché reagire subito con dichiarazioni? Se un vescovo non risponde personalmente o risponde con argomenti poco comprensibili, o reagisce su un piano puramente diplomatico e si sottrae del tutto alla risposta, si dovrebbe chiedergliene conto in nome della dignità del popolo di Dio. Se anche questa iniziativa rimane senza seguito, può essere quindi legittimo renderlo noto agli altri fedeli. Può avvenire che tutto questo finisca per togliere la "maschera liberale" dalla faccia del vescovo. Anche nella collaborazione ecumenica si dovrebbe attirare l'attenzione, per amore della sincerità, sul comportamento dei vescovi.
j) Vescovi diocesani - vicari generali del papa?
Ciò che Roma decreta e insegna vincola anche i vescovi diocesani. Perciò essi sono destinatari di comandi. Sovente essi svolgono funzioni di vicario generale del papa; il vicario generale deve agire sempre in conformità al vescovo diocesano, non deve mai opporsi alla sua idea e volontà. Spesso si fanno tenere sotto tutela da alcuni funzionari della Curia romana. Come Vescovi diocesani e successori degli Apostoli essi hanno la possibilità, nell'ambito del diritto canonico, di sostenere e motivare con forza le proprie ragioni anche nei confronti del papa e del Vaticano. Un vescovo al quale la tendenza del papa e della sua curia appare dannosa per la Chiesa o che su una dottrina non può seguire una decisione non infallibile presa da Roma ha la possibilità di chiedere di essere esonerato dal suo ufficio per motivi di coscienza.
O meglio ancora: egli porta avanti il governo della sua diocesi e comunica al Papa i motivi che lo spingono a fare questo passo. Tocca al Papa poi stabilire se allontanare il vescovo diocesano dal suo ufficio. In forza del suo primato giurisdizionale è consentito al Papa fare questo sempre.
Conclusione
Signore e signori, voi volevate sentire, nell'ambito del tema "Libertà cristiana invece di sacro dominio", osservazioni di diritto ecclesiastico sulla situazione odierna della Chiesa. Nella sua forma giuridica, vale a dire nella forma reale e decisiva per l'esperienza che voi avete della Chiesa, la Chiesa si presenta come un luogo di dominio fondato sulla sacralità, nel quale la libertà cristiana diventa obbedienza. Io non ho cercato di ripetere gli interrogativi, noti fino alla sazietà, che si devono porre sotto l'aspetto giuridico a un simile sistema e per i quali esistono da tempo concrete proposte di diritto canonico. Penso piuttosto ai diritti garantiti e alla loro difesa, all'obbligo anche per coloro che prendono le decisioni di attenersi al diritto, alla partecipazione di tutti i fedeli alle decisioni personali e concrete e ad altro ancora. Ho cercato, malgrado le disilluse constatazioni, di indicare altre possibilità. Esse poggiano sulla speranza che un confronto diretto e sempre rinnovato con le richieste dei fedeli facciano ridestare nel vescovo l'Apostolo e si fondano nel desiderio che i vicari generali del papa debbano riconoscere sé stessi come tali e accettare di venire considerati anche così da parte dei fedeli.
(Prof. Dott. Dott. Werner Böckenförde, Canonico capitolare emerito della Cattedrale di Limburg)
Osservazioni in tema di diritto canonico sull'attuale situazione nella Chiesa cattolica romana
Premessa
I. LA SITUAZIONE GIURIDICA NELLA CHIESA
Il Codex Juris Canonici
La situazione del diritto
La realtà giuridica
2.Un decennio di interventi romani
a) Aggiunte alla Professio Fidei e introduzione di un nuovo giuramento di fedeltà
b) Istruzione "Donum Veritatis" della Congregazione per la propagazione della fede sulla designazione ecclesiastica dei teologi, del 24 maggio 1990
c) Istruzione "Il Concilio" della Congregazione per la propagazione della fede per la dottrina di fede su alcuni aspetti dell'uso dei mezzi di comunicazione per la diffusione del magistero, del 20 marzo 1992
d) La Lettera Apostolica "Ordinatio Sacerdotalis" di papa Giovanni Paolo II ai Vescovi sull'ordinazione sacerdotale riservata ai soli uomini, del 22 maggio 1994
e) L'Enciclica "Evangelium vitae" di papa Giovanni Paolo II sulla intenzionale eliminazione della vita umana, del 25 marzo 1995
f) Vademecum per Confessori in alcune questioni di morale matrimoniale
g)L'Istruzione "De synodis diocesanis agendi" della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli ("propaganda fide"), del 19 marzo 1997
h) Istruzione circa alcune questioni sulla collaborazione dei laici al servizio dei sacerdoti, del 15 agosto 1997
i) Lettera Apostolica emanata motu proprio "Ad tuendam fidem", mediante la quale determinate norme vengono introdotte nel Codex Juris Canonici e nel Codex per le Chiese Orientali, del 18 maggio 1998
j)Lettera Apostolica motu proprio data "Apostolos suos" sulla natura teologica e giuridica delle Conferenze episcopali, del 21 maggio 1998 
3. Riepilogo
COME I FEDELI POSSONO COMPORTARSI NEI CONFRONTI DI QUESTA REALTÀ ECCLESIASTICA?
1. Desideri e realtà nella Chiesa
2. Vigilanza contro il minimizzare e sottovalutare
Personalizzazione di difetti di struttura 
Sottovalutazione di questioni giuridiche 
Armonizzazione nell'apostolato e nella teologia 
Acquietamento mediante presunta "relativizzazione" 
Acquietamento mediante consolazione
3. L'attenzione dei fedeli dovrebbe rivolgersi sui vescovi diocesani
Sulla situazione dei vescovi diocesani 
Questioni circa questa situazione giuridica 
Questioni circa la partecipazione dei fedeli 
I vescovi dell'Alto Reno sulla possibilità di ricevere la comunione da parte dei separati che si risposano 
Discussione preliminare sulla Lettera "Ordinatio sacerdotalis" 
Disposizione sul diaconato della donna 
Conferenza episcopale 
I vescovi diocesani e il "sensus fidelium"
Circa la risposta a domande
Vescovi diocesani - vicari generali del papa?
Conclusione
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Webpage Editor: Ingrid H. Shafer, Ph.D.
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Posted 1 October 1999
Last revised 1 October 1999
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