Quando, al suo primo incontro da vescovo di Roma con i rappresentanti dei media, Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013, affermò «Ah, come vorrei una Chiesa povera, e per i poveri», egli stabilì un collegamento con la visione espressa da Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II (1962-65). Una visione che era sopravissuta nella Chiesa latino-americana, ma che molti martiri dovettero pagare con la loro vita, come accadde all’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, che fu assassinato sull’altare il 24 marzo 1980, e il cui processo di beatificazione è stato avviato a conclusione da papa Francesco.
Dopo le dimissioni di Benedetto XVI, Francesco ora porta avanti il rinnovamento in molti campi. E’ un fondamentale cambiamento culturale che cerca di attuare oggi ciò che il Concilio Vaticano II prospettò cinquant’anni fa, a proposito delle riforme intra-ecclesiali, la partecipazione dei fedeli, l’apertura al mondo, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Questo cambiamento culturale comporterà anche un cambiamento di strutture. Per questo, tuttavia, il popolo della Chiesa e le scienze teologiche debbono essere più attivamente coinvolte dai vescovi in una partecipazione che deve crescere sempre di più.
Noi chiediamo che il papa reintegri quei laici, teologi, donne e uomini ingiustamente rimossi, negli ultimi anni, per il loro impegno nella Chiesa. Nel contempo, noi chiediamo un dialogo diretto e stabile con il papa per esprimergli le nostre preoccupazioni e le nostre opinioni riguardo ai problemi che sfidano la nostra Chiesa.
Invece di prendere decisioni «dall’alto», Francesco innesca processi di partecipazione e volutamente sceglie la «via sinodale», come nel caso del doppio Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015. Questo cambiamento da un modo di decidere solitario ad uno interattivo appare strano a molti, nella Chiesa cattolica, eppure corrisponde all’orientamento del Concilio Vaticano II. La lista dei nuovi cardinali scelti da diverse parti del mondo nel febbraio 2015 mostra che le diversità nel mondo sono favorite. La decentralizzazione delle strutture della Chiesa deve continuare. I cardinali ed i vescovi, specialmente quelli implicati nella riforma dela Curia, hanno una grande responsabilità per far sì che l’avvio delle riforme avviato da Francesco abbia successo.
Ma la forza della resistenza ad ogni tipo di riforma all’interno dello stesso Vaticano è dimostrata dal fatto che papa Francesco è stato spinto a rivolgere aspre critiche alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi del 2014. Questo sferzante allarme era diretto non solo ai più eminenti membri della Curia, ma anche ai cardinali e vescovi della Chiesa universale che ancora mostrano di sostenere così poco le prospettive di Francesco.
Comunque, fin dall’inizio Francesco ha avuto un grande appoggio dalla gente, come dimostrano i sondaggi. Nel dicembre 2014 lo statunitense Pew Research Centre ha reso noto numeri impressionanti. Un’inchiesta in 43 paesi mostra un alto livello in favore di papa Francesco, con una media del 60%. Particolarmente alta è stata la percentuale di persone favorevoli a lui in Europa (84%), Stati Uniti d’America (78%) ed America latina (72%).
International Movement We are Church – 11 marzo 2015